Venezia. Gli occhi magici di Canestrelli. Intervista con l'architetto Stefano Coluccio


Una piccola bottega a pochi passi dalle Gallerie dell’Accademia, un portoncino e una vetrina quadrata. Potrebbe passare quasi inosservata se qualcosa nella vetrina non catturasse la mia attenzione. Mi avvicino a guardare e mi vedo riflessa in una decina di tondi specchi convessi che aprono il loro occhio dilatato su quello che succede in strada. Entrando nel negozio la sensazione di essere osservati aumenta nella misura di tre pareti e un soffitto interamente tappezzati di specchi convessi. Un piccolo laboratorio a vista sul retro è dove queste magiche creazioni vengono realizzate dall’architetto Stefano Coluccio.


Giulia Ripandelli. Ho letto nel vostro sito che Canestrelli è una bottega storica, di famiglia. Quando è stata aperta?

Stefano Coluccio. La bottega è stata aperta nel ’52 da mio nonno, ma il posto non era questo, era una negozio più grande che in seguito hanno gestito i miei genitori.

G.R. Nasce già allora come negozio di specchi?

S.C. No, mio nonno era fondamentalmente intagliatore, antiquario e corniciaio. Anche i miei genitori sono stati corniciai, realizzavano cornici fatte a mano con la tecnica della doratura, tutti pezzi unici curati nei particolari e nei colori in modo che si accordassero con i quadri o le stampe che dovevano accogliere. 17 anni fa ho aperto una nuova bottega che ha convissuto accanto all’attività di famiglia fino a che i miei non l’hanno ceduta, tre anni fa.


G.R. Come è nata l’idea degli specchi convessi?

S.C. L’idea è nata quasi per caso. Poco dopo avere aperto mi è capitata per le mani una piccola lastra di vetro convessa e incollandoci dietro la foglia d’argento, quella usata per la doratura a guazzo, è venuto fuori un primitivo specchio convesso. Da allora, piano piano, questo oggetto ha preso il sopravvento, e così ho cominciato a fare una ricerca storica, sia nella pittura dove venivano raffigurati questi specchi, sia sul loro significato.

G.R. Specchi di questo tipo si trovano rappresentati soprattutto nella pittura fiamminga e tedesca del Quattrocento e Cinquecento…

S.C. Si, ma ne esistono anche parecchi esempi italiani: abbiamo un quadro di Tiziano che ci mostra uno specchio di questo tipo, uno di Caravaggio, un altro di Bellini, e naturalmente l’autoritratto del Parmigianino. Per me che sono architetto un altro riferimento importante è John Soane, che nell’ottocento ha usato questi specchi nella sua casa museo di Londra.


G.R. Qual è la storia dell’invenzione dello specchio convesso?

S.C. La questione della nascita di questi specchi è molto controversa. Sicuro, invece, è il loro aspetto simbolico: venivano considerati specchi magici, contro il malocchio; si credeva che portassero fortuna e che cacciassero le streghe. Nel Quattrocento e Cinquecento venivano messi nelle case a questo scopo. Ma c’è un altro aspetto importante per cui venivano impiegati: furono in un certo senso i primi controllori di ambienti. Raccogliendo un angolo visuale maggiore permettevano di controllare ampi spazi con un’occhiata, infatti in molti dipinti vengono raffigurati nelle botteghe di orefici, cambiavalute, banchieri…

G.R. Una sorta di telecamera ante litteram….

S.C. Esatto, si potevano controllare tutti gli angoli della bottega che altrimenti non sarebbero stati visibili. Anche nel Settecento furono molto usati, soprattutto in Francia e in Inghilterra. Venivano messi nelle sale da pranzo al di sopra del desco in modo che i camerieri potessero controllare che nulla mancasse in tavola senza doversi troppo avvicinare ai commensali. 


G.R. Parliamo della realizzazione: lo specchio vero e proprio viene prodotto qui a Venezia?

S.C. No, ma i vetri sono comunque prodotti in Italia come anche il processo dell’argentatura. Tutto quello che vede in questo negozio è fatto in Italia, e questo naturalmente incide sui costi.

G.R. Le cornici invece sono realizzate da lei. Quali materiali utilizza?

S.C. La maggior parte delle cornici sono in legno, con il legno mi sento particolarmente in sintonia, anche per la consuetudine familiare. Comunque, in questi anni di attività ho sperimentato moltissimi materiali. I metalli come ottone e rame sono particolarmente interessanti. Li tratto con ossidanti ottenendo patine meravigliose, diverse tra loro a seconda di quando si arresta il processo di ossidazione… dal verderame si può ottenere per esempio il marrone, oppure il nero…. mi piace molto giocare con gli ossidanti. Peccato che lo spazio per lavorare sia piccolo, ma a Venezia gli spazi costano cifre spropositate. Questo è uno dei primi motivi del declino dell’artigianato… 

 
G.R. Declino delle botteghe di artigianato, perché di negozi di cianfrusaglie è piena la città…

S.C. Infatti, se Venezia è piena di vetri cinesi ci sarà un motivo…  precedentemente collaboravo con vari artigiani. Per esempio, per quanto riguarda le cornici in metallo, realizzo lo stampo su cui poi faccio curvare le lastre di rame e di ottone, e alcuni motivi decorativi li affidavo ad un fonditore che ora ha chiuso. Tantissimi artigiani hanno chiuso, e bisogna trovare altri modi per arrangiarsi, è un po’ come tornare indietro. C’è una morìa di tutto quello che ruota intorno alla produzione di beni fatti a mano, chiudono continuamente negozi e botteghe.

G.R. Tornando alle sue cornici, prende ispirazione dalla storia dell’arte per i suoi modelli?

S.C. Si, a parte qualche pezzo più moderno e lineare, che rientra in una produzione minoritaria, generalmente faccio riferimento a modelli presi dalla storia dell’arte. Penso che gli elementi vincenti siano la doratura a guazzo, la foglia d’oro e la foglia d’argento. 
L’oro e l’argento hanno sempre un fascino particolare, hanno quel qualcosa che impreziosisce molto l’oggetto.

G.R. Usa argento e oro zecchino?

S.C. Sui pezzi importanti assolutamente si, se invece è un piccolo dettaglio che va invecchiato, come per esempio un filetto, allora posso usare il similoro, ma in questo caso preferisco piuttosto usare l’argento e poi meccarlo.

G.R. Cosa vuol dire “meccarlo”?

S.C. Si utilizza una vernice che si usava già nel settecento, a base di gommalacca e pigmenti, che dà all’argento l’aspetto dell’oro. Era una tecnica usatissima in passato. Il colore che viene fuori è a volte addirittura più bello della doratura ad oro zecchino. 


G.R. Chi sono i suoi clienti, i compratori di specchi convessi?

S.C. Una volta lavoravo tantissimo con gli americani, ma dopo due o tre anni dall’avvento dell’euro piano piano li ho persi. Ora lavoro soprattutto con francesi e inglesi.

G.R. E gli italiani?

S.C. Di italiani ne vengono sempre meno, quest’anno meno che mai, con questa crisi….

G.R. Prima mi diceva che a luglio esporrà i suoi lavori alla mostra Fashion Design Made in Venice 2014…

S.C. Si tratta una rassegna annuale, arrivata alla terza edizione, che si tiene all’Oriental Bar dell’Hotel Metropole a Riva degli Schiavoni. E’ un’occasione importante perché il posto è bellissimo e fra gli espositori ci sono dei bravissimi artigiani. La signora Beggiato, curatrice e proprietaria dell’Hotel, in realtà ci considera artisti più che artigiani. La mostra si è inaugurata a marzo e durerà fino a tutto luglio. Ogni artista/artigiano espone per un mese le proprie opere nelle vetrine esterne dell’Hotel. Io sarò presente con i miei lavori dal 1 al 31 luglio. Fortunatamente ci sono dei privati, come la signora Beggiato, che sostengono questo genere di iniziative, perché dalle istituzioni non arriva assolutamente nulla. E ora mi devo dar da fare perché dovrò preparare parecchi bei pezzi per luglio!

Intervista e foto di Giulia Ripandelli 





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